Nella giostra del fronte, tra temporanee sconfitte e vittorie nella grande battaglia, emerge l’umanità perfetta. In questa sfida culturale, in questo svolgimento del progetto di economia della conoscenza a Casal di Principe, tra tutte le difficoltà, le speranze, le amarezze e le immense gioie, emerge altresì lo stesso caleidoscopio di tipi umani. Verso la mostra, a meno di un mese ormai, degli Uffizi nel paese di Don Peppe Diana, intitolata “La luce vince l’ombra”, sto incontrando molto spesso me stesso.
Mi rendo conto, soprattutto a notte fonda, che siamo una compagnia per nulla scontata, assomigliamo veramente ad un consorzio di italiani medi che si fanno partigiani. Fuori dal luogo comune, scansando ogni stereotipo ammosciato di certe definizioni da bar dell’antropologia, siamo “tutti”. Ciascuno di noi è componente di un segmento decisivo, che non concorre tuttavia alla costruzione marxista cristiana del noi, ma afferma individualmente la propria gioia di fare una cosa più grande di ognuno: una mostra di opere d’arte del Seicento, di proprietà pubblica dello Stato, in una villa confiscata alla camorra, in un paese per troppo tempo ostaggio degli interessi criminali, nel Mezzogiorno più complesso.
Per cosa? Per affermare un modello economico basato sulla conoscenza e non sulla fragilità delle “conoscenze”, capace di usare la cultura come elemento strutturale per rilanciare la fiducia verso il territorio. Per chi? Secondo me per noi stessi, per essere davvero felici di essere stanchi per una cosa concreta, per aver fatto politica concreta, per aver scritto pagine di accordi modello concreti, per aver stretto concretamente amicizia con tipi che fino ad un anno fa erano spersi tra loro, come biglie lucenti e dimenticate in un cortile assolato. Fondamentalmente, per affermare che il mondo del lavoro può uscire dalla crisi se metti insieme cuore e cervello, pane e rose appunto. Questa stessa umanità perfetta che si trova in battaglia, la trovi qui ridotta per misura e quantità ma identica: vigliacchi, ipocriti, ruffiani, qualunquisti, sabotatori, invidiosi, coraggiosi, profeti, altruisti, felici, costruttori, ricostruttori, raffinati, colti, apolidi, rifugiati, credenti e non credenti, esuli, emigranti, belli e brutti tutti perfetti però, senza il tempo e l’opportunità di nascondersi.
Tra questa umanità perfetta, loro, i ragazzi e le ragazze degli Ambasciatori della Rinascita, così come sono: arme proprie (pacifiche) puntate sul futuro e caricate al massimo, con grande cura, da chi li sta formando alla giustizia e alla bellezza.
Però stasera, l’umanità perfetta della battaglia ha nome e cognome. Quello di un fabbro, Filippo Scarti, fiorentino di razza operosa e un parrucchiere, Gennaro Diana, casalese. Il primo mi dice: “per fare sta rivoluzione laggiù ci vuole comunque il ferro, i quadri come si tengono altrimenti. Faccio tutto gratuitamente per voi, mi pagate solo il ferro. Questo posso dare, questo so fare e se serve altro comunque sono pronto”; il secondo, che non conosce il primo: “vendo qui in negozio i biglietti per la mostra, chi compra da me i biglietti per partecipare a questa sfida e vincere, io gli faccio la piega gratis. Questo posso dare direttamente mio”. L’umanità perfetta è lì, anzi qui, sul margine, al limite della storia, là dove molto spesso non si vuole avere il tempo di andare a guardare.
Alessandro de Lisi